Mi permetto solo di richiamare che nel 152 c'è per VIA, Verifiche di VIA e VAS il richiamo alla necessità di valutare i fattori climatici (sia mitigazione che adattamento). Inoltre, esiste una specifica linea guida in tal senso del Sistema nazionale di protezione dell'Ambiente (la n. 28/2020) che comprende anche questi elementi che devono essere riportati nei documenti per l'approvazione. Infine, esiste una Comunicazione della Commissione EU che riguarda proprio questo tema per le infrastrutture: molte regioni in EU la stanno seguendo soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti FESR.
Ringrazio gli autori per le loro utili e dettagliate analisi. Poiché il piano prevede l’informazione e la consultazione dei cittadini, mi permetto d’intervenire, anche perché il PNACC mi ha generato non poche perplessità.
La prima perplessità è sulla denominazione: Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Pare, dai termini utilizzati, che i cambiamenti climatici siano una fatalità ineluttabile capitataci fra capo e collo senza che nessuno l’avesse minimamente prevista. Ma, cambiamenti ciclici “naturali”piovutici addosso proprio ora, accidenti, oppure cambiamenti indotti nell’ultimo secolo dalle attività umane? O entrambe le cose? Non si dice. In ogni caso la soluzione proposta è l’adattamento. Che è come curare la polmonite con la tachipirina. Intervenire cioè solo sui sintomi ignorando deliberatamente le cause e proponendo soluzioni pressoché omeopatiche. Quello che dobbiamo fare è continuare con la Crescita adattata, facendo decidere alle Borse i destini del mondo, al più con qualche palliativo, purché non si disturbi il manovratore? Di stato di equilibrio neanche a parlarne.
Il metodo omeopatico generale del piano è evidente quando si affronta la dimensione locale: l’ambiente in cui viviamo. Prendiamo allora ad esempio un ecosistema elementare, quello in cui vive l’orso bianco. Orso polare, banchisa di ghiaccio, foche, pesci. Nient’altro. Il ghiaccio si scioglie e l’orso è in via d’estinzione. Qual è l’adattamento possibile? Cambiare colore all’orso? Consideriamo invece non l’ambiente in cui si vive ma l’ambiente di cui si vive. Si comprende facilmente che le implicazioni e le interdipendenze non sono più quelle locali e che le cause e i risultatri dei cambiamenti coinvolgono una rete vastissima di cui la parte locale è una frazione ben poco rilevante. Un battito d’ali di una farfalla…, chissà che Lovelock non avesse ragione?
Qualcuno, scoprendo le carte, si è inventata la sostenibilità. Che è anche affermare, nel migliore dei casi, che sino ad allora non si sapeva se le attività umane e gli artefatti fossero o meno sostenibili. Probabilmente non lo erano così come molto spesso continuano a non esserlo, tranne che nella pubblicità. Adattamento omeopatico e resilienza sono sufficienti a fornire qualche garanzia di futuro alle prossime generazioni? Un Piano così concepito, e con la separatezza dei saperi e delle competenze, non credo sia in grado di farlo. Per questo plaudo all’incontro fra scienziati e giuristi, quale primo passo verso una maggiore oggettività e ampio confronto con la realtà dei fatti.
Mi sembra un’iniziativa brillante. Vado a leggere con attenzione tutti questi contributi. Credo che andrebbero diffusi ampiamente e, nel mio piccolo, cercherò di farlo 👍
Mi permetto solo di richiamare che nel 152 c'è per VIA, Verifiche di VIA e VAS il richiamo alla necessità di valutare i fattori climatici (sia mitigazione che adattamento). Inoltre, esiste una specifica linea guida in tal senso del Sistema nazionale di protezione dell'Ambiente (la n. 28/2020) che comprende anche questi elementi che devono essere riportati nei documenti per l'approvazione. Infine, esiste una Comunicazione della Commissione EU che riguarda proprio questo tema per le infrastrutture: molte regioni in EU la stanno seguendo soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti FESR.
Ringrazio gli autori per le loro utili e dettagliate analisi. Poiché il piano prevede l’informazione e la consultazione dei cittadini, mi permetto d’intervenire, anche perché il PNACC mi ha generato non poche perplessità.
La prima perplessità è sulla denominazione: Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Pare, dai termini utilizzati, che i cambiamenti climatici siano una fatalità ineluttabile capitataci fra capo e collo senza che nessuno l’avesse minimamente prevista. Ma, cambiamenti ciclici “naturali”piovutici addosso proprio ora, accidenti, oppure cambiamenti indotti nell’ultimo secolo dalle attività umane? O entrambe le cose? Non si dice. In ogni caso la soluzione proposta è l’adattamento. Che è come curare la polmonite con la tachipirina. Intervenire cioè solo sui sintomi ignorando deliberatamente le cause e proponendo soluzioni pressoché omeopatiche. Quello che dobbiamo fare è continuare con la Crescita adattata, facendo decidere alle Borse i destini del mondo, al più con qualche palliativo, purché non si disturbi il manovratore? Di stato di equilibrio neanche a parlarne.
Il metodo omeopatico generale del piano è evidente quando si affronta la dimensione locale: l’ambiente in cui viviamo. Prendiamo allora ad esempio un ecosistema elementare, quello in cui vive l’orso bianco. Orso polare, banchisa di ghiaccio, foche, pesci. Nient’altro. Il ghiaccio si scioglie e l’orso è in via d’estinzione. Qual è l’adattamento possibile? Cambiare colore all’orso? Consideriamo invece non l’ambiente in cui si vive ma l’ambiente di cui si vive. Si comprende facilmente che le implicazioni e le interdipendenze non sono più quelle locali e che le cause e i risultatri dei cambiamenti coinvolgono una rete vastissima di cui la parte locale è una frazione ben poco rilevante. Un battito d’ali di una farfalla…, chissà che Lovelock non avesse ragione?
Qualcuno, scoprendo le carte, si è inventata la sostenibilità. Che è anche affermare, nel migliore dei casi, che sino ad allora non si sapeva se le attività umane e gli artefatti fossero o meno sostenibili. Probabilmente non lo erano così come molto spesso continuano a non esserlo, tranne che nella pubblicità. Adattamento omeopatico e resilienza sono sufficienti a fornire qualche garanzia di futuro alle prossime generazioni? Un Piano così concepito, e con la separatezza dei saperi e delle competenze, non credo sia in grado di farlo. Per questo plaudo all’incontro fra scienziati e giuristi, quale primo passo verso una maggiore oggettività e ampio confronto con la realtà dei fatti.
Mi sembra un’iniziativa brillante. Vado a leggere con attenzione tutti questi contributi. Credo che andrebbero diffusi ampiamente e, nel mio piccolo, cercherò di farlo 👍